Sostenibilità inconscia: di cosa si tratta?

Al giorno d’oggi la sostenibilità è un tema che si sta consolidando in maniera sempre più capillare nella vita di ognuno di noi. Nei piccoli gesti quotidiani, quando evitiamo di comprare bottiglie in plastica, quando scegliamo la bici al posto della macchina, quando scegliamo di acquistare di seconda mano o di provare ad aggiustare prima di buttare. Ecco, questi sono tutti atteggiamenti che rappresentano un’attenzione crescente verso l’ambiente e le risorse. Anche nel momento in cui dobbiamo acquistare qualcosa, cominciamo a scegliere non solo in base al prezzo o alla qualità, ma anche considerando la filiera, l’origine degli ingredienti, l’ecologia del packaging, il codice etico dell’impresa produttrice e via dicendo.

Il livello di informazione a cui oggi noi consumatori possiamo attingere è elevato, verrebbe da pensare che scegliamo in modo più consapevole perché abbiamo l’opportunità di approfondire e comparare le nostre scelte in modo più rapido e semplice. Vero, ma in minima parte. Le scelte sono frutto di un particolare sentire e di una cultura comune e in Italia questa cultura ha sempre posto le proprie basi nella cura delle relazioni sociali, ambientali ed economiche. Questa tipologia di “attenzione inconscia” non ha solo riguardato le persone, ma anche le imprese. Si tratta di un patrimonio di conoscenze e atteggiamenti ereditati che hanno portato ad ottimizzare i capitali, ridurre gli sprechi e relazionarsi positivamente con il territorio circostante.

La situazione italiana: sostenibilità a buon punto ma manca una pianificazione strategica

In Italia infatti siamo spesso inconsapevolmente sostenibili perché siamo abituati a vivere e lavorare con pochissime risorse, da sempre. Il tessuto imprenditoriale italiano è per lo più popolato da PMI e quindi di piccole e medie realtà che rappresentano una struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale. Sono responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese.

Le piccole e medie imprese italiane si relazionano con una vasta gamma di attori, tra cui le Pubbliche Amministrazioni, i clienti e i fornitori nella loro catena di approvvigionamento, le associazioni di categoria, i centri di ricerca e le università, gli hub territoriali dedicati all’innovazione, le startup, i professionisti e i consulenti. L’ecosistema ricco e ben interconnesso di questa tipologia di imprese le rende naturalmente inclini a relazionarsi e, inoltre, è anche fortemente legato al territorio, non solo dal punto di vista fisico ma anche di comunità.

Secondo il Rapporto Italia Sostenibile 2022 di Cerved Italia, dal punto di vista sociale, l’Italia si colloca bene nei settori dell’assistenza sociale e della sanità, ma presenta risultati inferiori alla media europea in indicatori come la fragilità delle famiglie, la formazione del capitale umano e il sistema di sicurezza e giustizia.

Nonostante le sfide economiche e sociali, l’Italia si distingue al nono posto nell’indice di sostenibilità ambientale, con il Centro Italia che ottiene risultati migliori a livello nazionale. Anche se il Sud rimane al di sotto della media europea, il divario è più contenuto rispetto agli altri settori.

A supportare queste condizioni, nuovi approcci maggiormente legati alla sostenibilità sono stati incoraggiati anche dalle massime istituzioni mondiali e italiane, le quali hanno promosso una concezione di crescita e sviluppo più ampia considerando non solo indicatori economici, ma anche di natura ambientale e sociale. L’interesse è quello di prefissare obiettivi di massimizzazione del valore nel lungo periodo, oltre che dei profitti.

Come per esempio il Green Deal, il Next Generation EU o ad esempio il famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Al di là degli incentivi sovranazionali, analizzando da vicino le aziende, alcune già compiono azioni volte alla valorizzazione e all’ottimizzazione delle risorse e delle relazioni, si scopre che esse mettono in atto buone prassi per ridurre il loro impatto, migliorare le performance di sostenibilità o contribuire positivamente, per esempio, allo sviluppo del proprio territorio: la famosa sostenibilità inconscia.

Alcuni esempi di attività che migliorano la sostenibilità d’impresa:

  • efficientamento energetico e/o di approvvigionamento da fonti rinnovabili
  • incentivazioni alla mobilità sostenibile dei propri collaboratori
  • forme di flessibilità oraria, lavoro agile, contributi e convenzioni per i dipendenti
  • catena di fornitura locale
  • prevenzione e riduzione forme di inquinamento 
  • Modello 231
  • Codice Etico
  • procedure per tutelare la privacy e la sicurezza del dato
  • certificazioni di prodotto o di processo
  • iniziative a favore di associazioni benefiche a scopo sociale
  • e molto altro

Lo sviluppo sostenibile tuttavia non si esaurisce con singole iniziative o azioni, ma deve invece superare la logica di propaganda e diventare punto cardine della vision aziendale, adottando un’ottica orientata agli stakeholder e non più solo incentrata sugli interessi degli shareholder (azionisti).

È necessario infatti individuare il giusto percorso di pianificazione strategica, diversa e “personale” per ogni organizzazione, in modo da mettere in luce e valorizzare ciò che già si sta facendo (“sostenibilità inconscia”) e implementare ulteriori azioni a favore di uno sviluppo sostenibile in ottica di business continuity.

Vediamo come, al di là degli investimenti, ci siano imprese che possiedono una propria sostenibilità inconscia, che però può essere ampliamente sviluppata ed estesa. C’è ancora molto da fare e da migliorare, ma se il punto di partenza è positivo, che risultati si potrebbero raggiungere con un piano strategico dedicato?

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